domenica 4 ottobre 2015

Tiramisù




La prima volta che conobbi Emanuele mi ritrovai subito a mangiare con lui e Arianna, la mia infermiera guida, un meraviglioso tiramisù.
Ero trasferita da una settimana dal reparto ospedaliero dove lavoravo, una divisione geriatrica, alle cure domiciliari ed Emanuele era uno dei pazienti che dovevamo visitare quel pomeriggio.
Arianna era la mia infermiera guida, ero cioè affiancata a lei per un periodo di un mese, e meno male perchè la realtà delle cure domiciliari, rispetto all'ospedale, mi sembrava una galassia sconosciuta ed ostile.
Il tiramisù era la prestazione del pomeriggio, già.
Le colleghe del mattino avevano già provveduto a tutto, la visita del pomeriggio era quasi una visita di cortesia, visita che durava da 5 anni, epoca in cui Emanuele in seguito ad un incidente motociclistico rimase tetraplegico per una lesione midollare C2-C3 (cervicale alta), una di quelle lesioni bastarde che una vertebra più sopra sei morto, una più sotto e sei un vegetale nel letto che muove solo più occhi, impreca maledizioni, e respira, già respira....
Emanuele respira attraverso un buco nella gola, una tracheostomia, un buco con dentro una cannula di plastica che va lavata e disinfettata tutti i santi giorni, un buco dal quale aspirare con un aspiratore secrezioni, un buco dal quale infilare ogni tanto un apparecchio per stimolare la tosse, un buco che quando Emanuele deve parlare noi dobbiamo tappargli con un dito altrimenti esce un sibilo, un enunciato afono, un grido muto...
Emanuele vive dentro un letto tecnologico basculante, una specie di dondolo telecomandato, certe volte si fa legare con delle cinghie e vuol vedere il mondo della sua stanza da diritto e non da sdraiato, e allora lo basculiamo verso la posizione eretta, monitorandogli la pressione, perchè va giù, giù, sempre più giù, mentre lui vuole andare su, su, sempre più su e vedere il poster al muro di Bob Marley, che da sdraiato non vede.
Il tiramisù è la sua passione, la sua droga, ogni pomeriggio aspetta l'infermiera dell'ASL solo per la sua porzione di tiramisù, che si gode boccone dopo boccone, leccando il cucchiaino come farebbe un bambino, assaporando quel piccolo piacere rimasto nella sua misera vita.
A turno le colleghe delle cure domiciliari, tutti i santi giorni, preparano il tiramisù, che deve essere fatto in casa e non quelli acquistati in pasticceria, perché Emanuele è esigente e si accorge subito se il tiramisù è industriale e non fatto in casa.
Emanuele è anche un gran rompicoglioni, le infermiere del servizio sono circa una decina ma lui vorrebbe sempre le solite tre, e guarda maledettamente di storto le tirocinanti studenti, le neo assunte e quelle come me, quelle che devono imparare, quelle che devono fare i conti con lui che non si lascia fare nulla se non c’è tizia, caia o sempronia, diversamente dice alla madre di mandare via le altre che a turno arrivano, perché non ha bisogno di nulla, nemmeno del tiramisù del pomeriggio.
Emanuele è da sempre innamorato di Arianna, la mia infermiera guida.
Lo vedo da come sorride quando lei arriva, anche se poi il sorriso si spegne vedendo me.
Arianna sa come prenderlo, tiramisù a parte, Arianna fa per lui cose che nessuna fa, gli lava i capelli, gli fa la barba, gli taglia le unghie delle mani e dei piedi, lo accarezza, lo tocca, di quel tocco terapeutico che per lui è solo più possibile nel volto, tra i capelli, sulle labbra, un piccolo mondo residuo di sensibilità che è tutto ciò che resta del suo essere vivo.


Emanuele fa segno ad Arianna di “tappargli il buco” nella gola che vuol parlare.
E’ da mezz’ora che mi osserva, che muove quegli occhi seguendo ogni mio movimento, movimenti peraltro scarsi visto il mio naturale imbarazzo, mi osserva e aspetta le mie mosse, forse impaurito che io possa fargli qualcosa, non so bene cosa, visto che stiamo solo mangiando il tiramisù che Arianna gli sta somministrando imboccandolo.
Le sue labbra sono leggermente sporche di cacao e Arianna fa per prendere un fazzolettino per pulirlo.
E’ a quel punto che Emanuele dice una cosa che mi stupisce: “lascialo fare a lei, fammi pulire le labbra da lei”.
Arianna sorride e mi dà tra le mani il fazzoletto.
Sembro scema, avrei avuto meno difficoltà a fare una rianimazione cardio polmonare, una defibrillazione in urgenza, invece dovevo pulire la bocca a questo ragazzo e mi sentivo imbranata, impacciata, sotto osservazione.
Con quel fazzolettino di carta tra le mani appoggio delicatamente il mio dito rivestito di carta sulle labbra del ragazzo, quasi disegnandone i contorni, con un movimento circolare, con calma, senza farlo sembrare un gesto di pura igiene personale, ma trasformandolo, a mia insaputa, in una carezza inaspettata per chi la offriva, ma non per chi la stava ricevendo.
Poi un gesto inaspettato mi esce spontaneo, volontariamente intingo il mio dito nel cioccolato residuo rimasto nella coppetta e con un sorriso gli sporco la punta del naso dicendo “ehi, ma sei sporco anche qui!”… e con il fazzoletto lo pulisco facendogli un buffetto sul naso.
Mi sento meno cretina quando Emanuele sorride sebbene si affretti a dire “ok baby, prima prova superata, vediamo quando dovrai ficcarmi il dito nella tracheo se sarai promossa”.
Nacque così questo rapporto di amore-odio che ho avuto la fortuna di vivere con il primo giovane malato della mia carriera di infermiera condotta.
Un rapporto complesso, fatto di grandi emozioni, di grandi litigate, e di tiramisù preparati alle nove di sera perché sennò domani Emanuele…….
Cinque anni di un rapporto assistenziale che alla fine diventa parentale, amicale, e che crea quegli inevitabili (forse) legami affettivi che restano addosso per sempre, anche quando una banale infezione urinaria ci porta via per sempre un amico che ci manca ancora oggi e che ricordiamo sempre con la dolcezza, quella dell’amicizia e quella del tiramisù.
Panda Rei

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